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27/08/2007
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Buffalo
Tom 1/2 E' interessante notare come
cambiano i tempi. Nel 1989 ci fu un'ondata di reunion di gruppi che avevano
fatto la storia del rock circa vent'anni prima, come ad esempio i Jefferson
Airplane o i Ten Years After, e la cosa suscitò parecchio disgusto (se
non addirittura ilarità) nel mondo della musica, visti anche i risultati
generalmente più che deludenti. Vent'anni circa sono passati anche dai
tempi degli esordi di band come Dinosaur Jr., Meat Puppets e Buffalo
Tom, eppure questa generale rimpatriata di alcuni nomi che hanno praticamente
scritto le regole dell'indie rock odierno (ai tempi lo si chiamava alternative-rock)
non sta certo suscitando pari ribrezzo. Così se la musica dei Jefferson
Airplane sembrò preistorica già nell'89, i Buffalo Tom potrebbero tranquillamente
pubblicare oggi uno dei loro dischi storici e risultare ancora attuali,
se è vero che questo Three Easy Pieces suona praticamente
come i loro dischi di un tempo. Bill Janovitz ritrova i vecchi
compagni di strada Chris Colbourn e Tom Maginnis e prova
a riprendere un discorso interrotto meno di dieci anni fa. Three Easy
Pieces appare subito come una sorta di riassunto delle puntate precedenti,
ci sono i riff più duri tipici dei loro esordi, ci sono i maturi intrecci
sonori ascoltati in Let Me Come Over e le aperture pop di Big Red Letter
Day. Ma c'è soprattutto una band che ritrova lo smalto dei giorni migliori
e se magari non raggiungono i livelli dei Dinosaur Jr. più recenti, offrono
comunque 13 canzoni convinte e con piena ragione di esistere. Va detto
che nel frattempo Janovitz ha studiato, ha frequentato i Giant Sand ai
tempi dell'album Lonesome Billy, ha pubblicato nel 2001 Up Here, un album
che strizzava l'occhio all'alt-country, e nel 2005 il più elettrico Fireworks
On Tv!. Produzione spartana, suoni diretti con approccio live,
un frequente uso di intrecci di cori a sottolineare un songwriting decisamente
maturato, che passa senza troppi intoppi dal power-pop della title-track
alla country-ballad finale di Thrown, pungendo con le spigolature
di September Shirt, per trovare la propria apoteosi in Hearts
Of Palm, uno dei brani sicuramente più di spessore insieme all'iniziale
Bad Phone Call. Janovitz violenta la chitarra senza strafare, sovraincide
spesso una acustica per ingentilire il risultato finale e approfitta dei
vantaggi di una voce resa più profonda dal tempo e dalle sigarette. C'è
pure spazio per la voce di Chris Colbourn, che fa bella figura nella divertente
Renovating e soprattutto nella sorprendente ballata pianistica
Pendleton. Ma alla fine, più che le singole canzoni, è l'insieme
finale che ci regala di nuovo il sound di una band che forse, anche questa
volta, non ci consegna il capolavoro di una vita, ma che volentieri ritroviamo
al nostro fianco nel nostro peregrinare sulle strade del rock americano.
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