inserito
il 01/11/2006
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Solomon
Burke Parlare di vera e propria
rinascita artistica nei confronti di Solomon Burke potrebbe persino
sembrare irriguardoso, per un musicista che in realtà ha subito una sorta
di oblio mediatico, quella indifferenza che spesso le grandi voci della
musica nera hanno conosciuto in carriera, sia per questioni di mode sia
per scelte produttive e di repertorio non sempre degne della loro statura
artistica. The King of Rock'n'Soul, come ama definirsi, conosce
tuttavia in queste ultime stagioni una seconda giovinezza, quella che
gli è stata restituita grazie al coinvolgimento disinteressato di autori
e musicisti letteralmente in venerazione della sua figura. Per primo è
arrivato Joe Henry, che gli ha servito su un piatto d'argento il rientro
trionfale di Don't
Give Up On Me, poi è stata la volta di Don Was con Make
Do With What We Got: entrambi i dischi hanno fruttato nominations
ai Grammy ma più di ogni altra cosa hanno fatto riguadagnare il centro
della scena al trono di Solomon Burke. Nashville viene istintivamente
a completare una ideale trilogia, seppure si discosti in maniera sensibile
per contenuti musicali dai suoi predecessori. Come il titolo suggerisce
in modo esplicito, si tratta dell'incontro, da molto tempo vagheggiato
dallo stesso Burke, con la country music e la città che ne ha amplificato
il messaggio in America. Da sempre affascinato estimatore di questa tradizione
- tra i suoi primi successi Atlantic si ricordano country song quali Just
Out of Reach e Down in the Valley - Solomon Burke ha approfittato di un
incontro casuale con Buddy Miller, avvenuto durante la scorsa edizione
degli Americana Music Awards. Così, in soli otto giorni, tra soggiorno
e cucina della dimora di Miller, Nashville ha preso forma sotto la direzione
artistica del padrone di casa, prezioso nel chiamare a raccolta e coordinare
una serie di prestigiose interpreti femminili: le magistrali lezioni in
forma di ballata di Tomorrow Is Forever con Dolly Parton
e We're Gonna Hold On con Emmylou Harris, la commovente
Valley Of Tears con Gillian Welch, e ancora Up The Mountain
con Patty Griffin e la più vivace You're The Kind Of Trouble insieme
a Patty Loveless non risultano mai sopra le righe, sempre e comunque al
servizio del protagonista. Così come al suo servizio restano la steel
guitar e il dobro di Al Perkins, l'accordion di Phil Madeira,
l'armonica di Mickey Raphael, il mandolino e il fiddle di Sam
Bush e infine le chitarre dal tipico twang sound di Kenny Vaughan
e dello stesso Buddy Miller, tutti a prestare il fianco ad un gigante
della black music. Il quale peraltro pare abbandonarsi con voluttà all'old
time scatenato di Ain't Got You (proprio quella di mr. Bruce Springsteen),
alle dolcezze rurali di Vicious Circle, "gonfiata" dai cori delle
McCrary sisters, al country rock godurioso di Seems Like You're Gonna
Take Me Back e Honey Where's The Money Gone, arricchendo innegabilmente
con quintali di fascino soul brani come Millionaire (di e con Kevin
Welch), Atta Way To Go, semplicemente strepitosa, e Does My
Ring Burn Your Finger. Spulciando in un catalogo di settanta brani
proposti per l'occasione, con un occhio di riguardo ai classici (Don Williams,
George Jones e Tom T Hall) ne sono usciti quattordici deliziosi bozzetti
country soul in cui la voce camaleontica di Burke ha preso il toro per
le corna (basta d'altronde la sola accoppiata voce e chitarra in That's
How I Got To Memphis per mettere le cose in chiaro), dando nuova linfa
vitale al genere, pur mantenendone intatte tutte le regole sonore. |