Nel continuo pellegrinaggio alla ricerca di uno straccio di contratto, Graham
Parker è finito persino nelle braccia dell'etichetta alternative-country
per ecellenza, la Bloodshot di Chicago (in Europa il disco esce però per
l'inglese Evangeline). Se aggiungiamo il dettaglio che il suo nuovo lavoro porta
un titolo come Your Country, si fa presto ad equivocare, tirando
conclusioni un po' affrettate. Questo non è il suo disco country, tanto
meno il solito omaggio alla materia con cui altri colleghi si sono cimentati:
vale la pena chiarire che Parker ci approda per vie traverse e con la sensibilità
di un musicista inglese che ha appreso il linguaggio della campagna americana
più dall'ascolto dei Rolling Stones che da qualsiasi raccolta di Hank Williams.
Certamente si tratta del suo disco più "americano" da molti anni
a questa parte, dai tempi ormai lontani di Struck By Lightning (era il 1991).
Definiamolo dunque un bagno nel mare roots, un'opera asciutta e poetica in cui
tornano a galla soprattutto le ballate e balza in primo piano la voce soulful
del nostro. La ripresa artistica di Graham si era avvistata già con l'ottimo
Deepcut To
Nowhere, che aveva dalla sua parte un suono più robusto e urbano.
Your Country prosegue il felice momento ispirativo volgendo lo sguardo verso i
chiaroscuri del folk-rock, spruzzando di venature country le radici indiscutibilmente
rock del protagonista. Per l'occasione si sono scomodati nuovi musicisti, più
avvezzi forse all'universo del roots-rock, rimettendosi nelle mani di gente rodata
come Don Heffington alla batteria e Tom Freund al basso. La produzione
in coppia con John Would (anche alla lap steel con Ben Peeler) rappresenta
infine l'ultimo tassello che spinge in primo piano un sound brillante, senza alcun
artificio, con la voce di Parker a troneggiare in bella vista. I risultati non
si sono fatti attendere e di riflesso ne ha beneficiato anche il songwriting,
oggi forse più struggente e romantico, ma capace di mantenere al tempo
stesso quello stile nervoso, ironico e tagliente che lo ha sempre guidato in tret'anni
di carriera. Se infatti Anything For a Laugh e The Rest is History
sono due ballate dai risvolti dylaniani che aprono la raccolta all'insegna di
una sottile malinconia; se Cruel Lips ciondola su un ritmo honky-tonk (e
si avvale dei cori di Lucinda Williams); se Sugaree è l'unica
cover d'eccezione piegata al suo stile; già in Almost Thanksgiving Day
riaffiora un marchio personale impossibile da cancellare. Basta poi affacciarsi
sulla successiva, autobiografica Nation of Shopkeepers per ritrovare un
vecchio amico, un Graham Parker molto familiare, rock ballad limpidissima ed uno
degli highlights del disco. A controbilanciare i ritmi cadenzati della prima parte
ci pensano quindi i tempi serrati della pimpante Queen of Compromise (e
qui bisogna infine appaludire l'ottimo lavoro di Graham alle chitarre e all'armonica),
il gusto rockabilly della spiritosa Tornado Alley e la chiusura country-rock
di Crawling From The Wreckage, saltellante e infarcita dal twangin' delle
chitarre. Un altro disco che ha anima da vendere, un'altra dimostrazione di classe,
l'ennesimo, temiamo, sasso lanciato nel vuoto, ma credo ormai che Graham Parker
non ci faccia nemmeno più caso. A lui basta cantare (Fabio Cerbone)
www.grahamparker.net
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