Steve Wynn
Here Come The Miracles
Blue Rose
2001


 

Il capolavoro assoluto di una carriera sempre in bilico tra alti e bassi, ma con una costante voglia di ricerca e di mettersi in gioco, che ne hanno fatto una delle figure centrali per lo sviluppo della canzone rock americana degli ultimi vent'anni. Con questo potremmo anche chiudere e passare alla prossima recensione: Here Come The Miracles è il primo grande disco del 2001 ed un serio candidato ad entrare in tuttte le playlist finali dell'anno, anche se a dicembre mancano ancora parecchi giorni. Da qualche settimana già sul mercato, ci siamo presi un periodo di tempo giusto per assorbirlo e recepire tutti gli stimoli di un doppio cd così ambizioso, in cui rientrano un po' tutte le anime di Steve e che per questo rappresenta idealmente il riassunto della sua entusiasmante vita artistica. Diviso in due specifici capitoli, il disco rosso, legato alla passione e quindi più diretto e dall'anima rock, ed il disco blu, dalle tonalità più notturne e sperimentali, Here come the miracles si avvale della stretta collaborazione di alcuni fedeli compagni d'avventure dell'indimenticabile stagione del Paisley Underground. Preziosissimo l'apporto del grande e misconosciuto (mai cercato i suoi dischi solisti?) Chris Cacavas all'organo e piano; sempre distinguibile il furore chitarristico di Chris Brokaw (già presente in altri dischi di Steve) e notevoli anche se defilate le imperversate di Howe Gelb in un paio di episodi. Che dire dei brani e della cifra stilistica del disco? Si tratta di una sorta di ripasso e summa artistica di quello che il nostro eroe ci ha fatto amare da anni: vibrante rock'n'roll sporcato di blues e psichedelia (la stessa title track; le maestose Southern California line e Death valley rain; la furiosa Crawling misanthropic blues, una sorta di Days of wine and roses rivisitata e ancora Watch your step), svisate pop rock (Shades of blue; la splendida Sustain), acide cavalcate "younghiane", folk-rock di prima classe (il finale del secondo cd con la corale There will come a day, che ricorda non poco i fantomatici Danny & Dusty, progetto estemporaneo e sorta di supergruppo del Paisley) e ballate crepuscoalri e desertiche (Drought, Good and bad, Charity). Un'offerta ricca e variegata, di una qualità ineccepibile: da non lasciarsi sfuggire per nessuna ragione al mondo.


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