Schrimshanders
Longneck
Schrimshanders
2001



La conservazione della specie No depression non conosce flessioni e crisi di sorta: il discorso aperto di recente con la piacevole scoperta dell'ottimo esordio dei Foundry, si ripete per questa formazione bostoniana, anch'essa al debutto sulla lunga distanza con Longneck (si sono formati nel '98), stilisticamente a loro agio nei panni dei più classici rockers di provincia. Lo svantaggio, rispetto ai citati Foundry, è forse di non possedere un songwriter di primo piano all'interno della band (il comunque onesto John Magee) e di scrivere di conseguenza canzoni meno appariscenti, mentre il punto a favore è di essere irrimediabilmente una real roots-rock band, con un suono tosto, pieno e corroborante, tanto da dar vita ad una produzione senza sbavature. Chitarre elettriche spiegate (lo stesso Magee in coppia con Tom Baker), profumo di asfalto e strade perdute, inflessioni rootsy con pedal streel onnipresente e contorno di dobro e mandolino, per un arioso e frizzante roots-rock di maniera, che non manca di momenti intriganti. Sono ben fissi nella scrittura degli Scrimshanders alcuni punti fermi del rock'n'roll delle radici degli ultimi anni: la commistione country-punk degli Uncle Tupelo, le polverose ballate di Jay Farrar e dei suoi Son Volt, il vigore stradaiolo di Steve Earle e John Mellencamp. Su queste salde coordinate si muovono veloci le melodie di What goes around, No angel, Dealer's choice (l'unico episodio cantato da Baker) e SXMW, oneste trasposizioni del cuore rock'n'roll della band. In Not on fire e Lie low (brano tra i più ispirati della raccolta) staccano la spina e suonano più raccolti, rurali ed acustici, destinando poi una parte consistente del loro sound ad un country-rock smargiasso nelle bar-room songs So long e Bleeding heart. Materiale da riserva indiana dell'alternative-country.

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