June Star
Telegraph
Safe House
2001

1/2


La conservazione della specie: incuranti di mode e mutamenti più o meno sinceri del moderno rock'n'roll, persino di un certo affaticamento della scena alternative-country, i June Star cospirano per un ritorno all'essenza del genere, cercando ispirazioni, melodie ed accordi nelle recente storia dell'era no depression. Andrew Grimm, voce solista, autore e produttore del loro secondo lavoro, Telegraph, non è nuovo a tali operazioni di recupero: già con il suo principale gruppo di riferimento, i Sixty Acres, aveva guadagnato sul campo la qualifica di esperto riverniciatore di quelle scosse country-rock portate alla ribalta dall'asse Uncle Tupelo-Son Volt. Ed è proprio in quel fondamentale binomio della più recente storia del rock indipendente americano che vanno collocati i paesaggi rurali dei June Star, le loro ciondolanti ballate roots e la voce stanca ed impastata di Grimm stesso. La presenza della spaziale pedal steel di Eric Heywood, lontano collaboratore dei Son Volt, non fa che avvalorare la tesi, anche se basterebbe l'apertura di Thrown per rendersene conto: è uno stringato sunto dell'Unlce Tupelo-pensiero, con una stridente elettricità a coprire un brano dall'impostazione chiaramente traditional. Si prosegue su questa nostalgica linea di pensiero, senza tuttavia destare l'impressione di una furba ripetizione di certi schemi. Non è colpa dei June Star se sono arrivati dopo i maestri, l'essenziale è che possiedano canzoni degne di questo nome, e qui mi pare vadano a nozze: splendide, in particolar modo, alcune sornione ballate country-rock quali Wedding girl e New Jordan, intervallate da autentiche marcette roots come Felled e Follow me, in cui l'incastro di chitarre, banjo, mandolino, pedal steel ed armonica rappresenta la quintessenza del genere.

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